Edo: piccolo e prezioso
di Silvana Cincotti
Edo è il vecchio nome della città che oggi conosciamo come Tokyo. Siamo in una forbice temporale compresa tra l’inizio del 1600 e la prima metà dell’Ottocento. In questo sofisticato centro urbano, in cui gli uomini indossano abiti alla moda e accessori scelti con cura per dimostrare il loro status e stile personale, il kimono è d’obbligo.
Tuttavia questa veste, a forma di T, non prevede tasche. Potete immaginare, soprattutto per un uomo d’affari, la limitazione: divenne allora abitudine portare appesa alla fascia stretta in vita un sacchetto contenente i beni personali, tra cui l’occorrente per fumare. Dall’altra parte della fascia spuntava, come contrappeso per tenere ferma la borsetta di tessuto, un piccolo ciondolo, che divenne presto un vero e proprio status symbol, piccole opere d’arte finemente lavorate e cesellate: i netuske.
I netsuke (il cui significato è “bottone di legno”) erano utilizzati da tutte le classi sociali, ma soprattutto dai commercianti che volevano dimostrare la loro ricchezza, proprio come gli orologi e i gemelli rivelano nel mondo occidentale il gusto sartoriale di chi li indossa. Questi monili erano disponibili in una varietà di forme e materiali, legno, avorio, porcellana, argento e sono oggi di alto valore collezionistico, apprezzati dai musei ed esposti in tutto il mondo. I netsuke sono piccoli, possono variare dai quattro ai cinque centimetri, vere e proprie come sculture in miniatura: figure umane, fantasmi, animali, scheletri, soggetti botanici e maschere. Sapientemente lavorati, questi oggetti forniscono una finestra sulla cultura e la vita quotidiana giapponese. Non sono importanti solo i soggetti, ma come i soggetti stessi sono trattati: quali abiti indossano i vari personaggi, quali arnesi o strumenti sono talvolta raffigurati, Alcuni erano talmente tanto preziosi da riportare la firma dell’artigiano che li aveva creati ed in questo modo oggi gli studiosi possono ricostruire la presenza sul territorio delle diverse botteghe d’arte.
Quando il Giappone prese parte all'Esposizione Mondiale di Parigi del 1867 e di Vienna del 1873, le arti e i manufatti giapponesi divennero di gran moda e i netsuke assunsero un ruolo principale. Era la stagione dell’Impressionismo e i quadri degli artisti, ricordiamo ad esempio Van Gogh, si popolarono di motivi che guardavano al Sol Levante. I netsuke divennero presto oggetto di collezione e le Case d’Asta li quotano oggi per un valore che può raggiungere anche i quattromila dollari. Un vero e proprio piccolo tesoro. Una delle collezioni più interessanti è quella posseduta da Edmund de Waal, storico dell’arte e professore di ceramica alla Università di Westmister, in Inghilterra. Nel suo libro Un’eredità di avorio e ambra (Bollati Boringhieri - 2011) racconta come queste 264 straordinarie sculture giapponesi, non più grandi di una scatola di fiammiferi, siano finite in suo possesso. Oggi sono conservati all’interno di una vetrina, i figli di de Waal possono giocare con questi minuscoli oggetti, come facevano, ha scoperto l’autore, i piccoli figli di Viktor e Emmy von Ephrussi, suoi bisnonni, nella camera della madre, in un fastoso palazzo viennese della Ringstrasse, un secolo prima. Prima che Hitler entrasse in trionfo a Vienna e avessero inizio le persecuzioni e i saccheggi nelle case degli ebrei. Ebrei di Odessa erano appunto gli Ephrussi, commercianti di cereali e poi banchieri ricchi e famosi quanto i Rothschild, con ville e palazzi sparsi in tutta Europa. L’imponente edificio di Vienna, dove i netsuke arrivano nel 1899 da Parigi, dono di nozze di Charles Ephrussi, famoso collezionista, mecenate, amico di Renoir, Degas e Proust, conteneva tante e tali opere d’arte che i minuscoli oggetti sfuggirono all’attenzione dei nazisti. Affascinato dall’eleganza, dalla precisione, dalle straordinarie qualità tattili delle sculture, l’autore, decide di ricostruire la storia dei loro passaggi da una città all’altra, da un palazzo all’altro, da una mano all’altra. Cercando e trovando così le radici della sua famiglia. Viaggiando per anni tra l’Europa e il Giappone, attingendo a disparati materiali d’archivio ma soprattutto rivivendo le vicende dei suoi antenati nei luoghi da loro abitati, osservandole con gli occhi dell’artista, l’autore dà voce a questi straordinari oggetti d’arte.