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Charlie Hebdo : questa é satira oppure...

Sono trascorsi oramai due anni dall'attacco ordito dal terrorismo islamico contro la redazione parigina di Charlie Hebdo, il settimanale satirico spesso al centro delle polemiche per i suoi contenuti forti ed irriverenti: la ferocia dell'attentato - il primo di una lunga serie che avrebbe poi colpito l'Europa - scatenò un moto spontaneo di condanne che portarono a manifestare nelle piazze i cittadini di tutto il vecchio continente in favore della libertà di stampa, al grido unanime di #jesuischarlie. Anche in Italia la mobilitazione pubblica fu notevole ed il primo numero del periodico andato in stampa dopo l'aggressione (con una tiratura abnorme di 7 milioni di copie in ben sedici lingue) andò a ruba, nonostante in pochi conoscessero quale tipo di rivista stesse catturando un numero così elevato di attenzioni, e di reazioni. 

 


Charlie Hebdo è una rivista satirica che da oltre vent'anni stampa una tiratura media superiore alle 100.000 copie settimanali: ma fa satira nel senso pieno del significato, a 360 gradi, libera dai lacci talvolta soffocanti del politicamente corretto; è un tabloid che scaglia le proprie invettive in modo generalista, senza alcun riguardo per mostri sacri né tabù. Non esistono argomenti intoccabili: strenue paladino della filosofia secondo cui tutto può essere visto con occhi diversi - spesso cinici, miserabili e distaccati -, è un giornale che demanda alla satira l'ingrato compito di far riflettere, anche e soprattutto amaramente, prima ancora che suscitare ilarità. La rivista è famosa soprattutto per le sue vignette che provocano indignazione, disgusto, a volte perfino ribrezzo, ma è proprio questo lo scopo che essa si prefigge. È sorprendente notare quali emozioni, rabbie, dolori e dispiaceri possano ritrovarsi tutti insieme in un minuscolo rettangolino di carta riempito a tratto di matita, sebbene in molti protestino contro questo modo di fare giornalismo, paragonandolo allo sciacallaggio e sostenendo che promuove l'odio razziale ed infiamma le guerre di religione. 


Per inquadrare la questione, però, è doveroso ammettere che noi in realtà siamo poco avvezzi alla satira vera e propria, priva di vincoli, e ci piace accoglierla con un sorriso di approvazione soltanto quando questa si fa beffe dei potenti di turno, spesso edulcorata dalla più mite compagna ironia, eletta a difesa dei deboli e giammai contro anche costoro. Eppure, come sosteneva orgoglioso l'oratore latino Quintiliano nel I secolo d.C., la satira è un'invenzione letteraria totalmente italica (sebbene ravvisabile nella produzione giambica del greco Callimaco già tre secoli prima): l'etimologia stessa del termine indica una prelibatezza costituita da svariati frutti da offrire agli dei, un'insalata russa gustosa e ricca di ingredienti diversi. Allo stesso modo, anche le primizie letterarie cucinate insieme attingendo a fonti differenti, filtrate tutte attraverso il comune denominatore dello scherno più gretto e meschino, vogliono proporre un piatto variegato per stomaci forti e non necessariamente gradito a tutti, anzi spesso difficile da digerire. Nel pentolone entrano così in un mare magnum ribollente la cronaca, la politica, le religioni e le crisi di identità e valori che colpiscono l'Occidente: le vignette dissacranti di Charlie Hebdo, crude ed anche crudeli, rispecchiano appieno tale linea di pensiero. Oltre ad un mezzo sorriso amaro e grottesco, cercano di instillare il dubbio in chi le osserva, non offrendogli alcuna rassicurazione ma anzi invitandolo ad interpretare la realtà da un punto di vista inedito, avulsa dall'empatia e traslata in una dimensione priva di ogni sentimento e coinvolgimento emotivo, del tutto fredda ed indifferente alle sorti altrui. 


Molti degli Italiani che due anni fa difendevano con convinzione la causa di Charlie Hebdo oggi si proclamano indignati ed offesi, in particolare da due vignette pubblicate recentemente sulla rivista e riguardanti ferite ancora brucianti della nostra cronaca: le vittime del terremoto della scorsa estate, rappresentate come schiacciate in una enorme lasagna italica, e quelle dell'hotel travolto dalla slavina in Abruzzo pochi giorni fa, il cui rispetto è violato dalla rappresentazione della morte con il suo vestito lugubre mentre, con gli sci e le falci al posto delle bacchette, si concede una vacanza in montagna scendendo verso il suo appuntamento fatale. Di quest'ultima vignetta, comprensibilmente accusata quantomeno di cattivo gusto, esiste anche una versione abilmente riveduta da un disegnatore nostrano, che in risposta a Charlie Hebdo ha aggiunto la sagoma di un volontario del Soccorso Alpino nell'atto di sorpassare sugli sci la nera figura, rivolgendole un plateale gesto di scherno. Inutile sottolineare come l'autore della contro-vignetta abbia fatto immediatamente incetta di elogi ed ammirazioni, di condivisioni in rete e complimenti a pioggia, arrivando a perorare la nostra causa nell'atavica disputa sulla rivalità di costume con i cugini d'Oltralpe. Pazienza, poi, se si scopre che anche la produzione artistica di quello stesso vignettista sia in buona parte fondata su ricorrenti motivi sessisti e razzisti e seguace di certi moti populisti, non diversamente da chi si vorrebbe censurare in contrapposizione. 

Ma quindi è Charlie Hebdo una rivista esecrabile - e dunque hanno ragione i molti sociologi, psicologi, tuttologi che (anche in Francia) vorrebbero fermarne per sempre le rotative -, oppure siamo noi che non sappiamo tollerare, non condividendolo, un pensiero scomodo che ci urta a tal punto da farci dimenticare allo stesso tempo non solo del diritto alla libertà di stampa, ma anche di ciò che realmente sta dietro alle allegorie rappresentate? Davvero ha senso scagliare tutte le nostre ire sui vignettisti di Charlie Hebdo, senza mostrare ancora più rabbia verso le vere cause che hanno provocato i crolli ed i disastri? Davvero pensate che la piú feroce delle matite, la piú spregevole delle penne, possano far male più di un calcolo ingegneristico sbagliato per convenienza, di una tangente servita a far chiudere almeno un occhio, di un permesso elargito per un favore, di un condono concesso dallo Stato ma non dalla natura? Davvero sono i vignettisti irriverenti a fomentare l'odio razziale, e non invece chi abusa dei social network confezionando ad arte notizie false prive di alcun fondamento per alimentare timori e paure ingiustificati, trovando peraltro terreno fertile in un pubblico generalmente poco informato, spesso incapace di formulare un'analisi con spirito critico ed incline alla piú facile creduloneria? 

Sventolando lo slogan #jesuischarlie vogliamo semplicemente affermare che anche la piú lontana dalle nostre opinioni, il punto di vista meno condivisibile, hanno comunque un loro diritto di espressione, legittimo e da difendere. A pungere fino a farci piangere dal male sono le nostre stesse debolezze che ci vengono sbattute in faccia con tutta la loro asprezza; a ferirci è chi al posto di mostrarci conforto ci ricorda che la nostra fragilità non va ricercata nel fatalismo degli eventi o nei disegni arcani della sorte, ma anzi possiede responsabilità assai piú terrene e prevedibili. Tanto la satira continuerà ad esistere anche se, imperterriti, noi come abbiamo sempre fatto preferiremo ancora voltare, schifati, la testa dall'altra parte. 

 

Federico Nardozzi