Seleziona una pagina

Intervista al prof. Angelo D’Orsi

19/01/2024 | Storia

In un clima di difficile emergenza politica abbiamo discusso con Angelo D’Orsi ordinario di Storia del pensiero politico nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino, già candidato sindaco a Torino nell’ultima tornata elettorale del 2022. Con lui abbiamo approfondito tematiche importanti come quelle legate ad una politica italiana che si presenta rinnovata ma dal futuro ancora incerto, ad un’Europa che pare abbia tradito le sue vocazioni iniziali ed ancora alla crisi in Ucraina, grave minaccia di instabilità sullo scacchiere internazionale. Il nostro interlocutore ha tracciato un profilo di ciascuna delle situazioni toccate con puntualità e suffragando le sue tesi con una visione di insieme che è dello storico e del politico e deve essere per forza di cose semplice e netta.

Sulla base della sua esperienza accademica quanto può essere attuale oggi per il nostro paese l’insegnamento di Gramsci?

Come ho avuto modo di dichiarare più volte, credo che il suo insegnamento sia del tutto inattuale, ma, contemporaneamente, assolutamente necessario. Il paradosso si spiega così: oggi non esiste nessuno nel nostro Paese che possa “essere Gramsci”, svolgere il suo ruolo di pensatore critico, di sollecitatore di intelligenze, nessuno che sia in grado, né sul piano teoretico né su quello pratico di rilanciare il comunismo come “umanismo assoluto” (formula gramsciana), restituendo dignità e attualità al concetto e credibilità al progetto politico che esso esprime. Eppure lo stato catastrofico in cui viviamo reclamerebbe “un Gramsci” che ci aiutasse a uscire dal pelago, e condurci alla riva, ma una riva di un nuovo paese, un paese in cui menzogna e ingiustizia vengano bandite.

Qualche mese fa le urne hanno consegnato alla Meloni ed ai suoi alleati il paese. Quali sono oggi le prospettive dell’Italia. E come un rinnovato PD potrà esser nuovamente una realtà di governo?

Era una vittoria annunciata, che nondimeno va ridimensionata: la destra ha avuto il consenso di una parte dell’elettorato, che era una parte assai ridotta degli aventi diritto. E inoltre ha vinto grazie a una legge elettorale infame, antidemocratica, la cui responsabilità ricade paritariamente su quasi tutto l’arco politico, con una prevalenza del Pd. La differenza tra Pd (e il cosiddetto “centrosinistra”) e il cosiddetto “centrodestra” è più di forma che di sostanza: sono due destre, in sintesi. Quella attualmente al governo è retrograda, antimoderna, che conduce grottesche battaglie di retroguardia. Contro i pagamenti elettronici, contro i diritti civili, contro gli sforzi per combattere il climate change,  contro la libertà di insegnamento, per una scuola bigotta e di regime, e così via. Ma sul piano sociale, su quello della politica economica, estera e militare, non sussistono vere differenze. Questa constatazione è anche una spiegazione del tracollo del Partito che dovrebbe essere l’erede del Pci (e in parte della Dc), che ha rinunciato a una caratterizzazione che raccolga le istanze progressiste dei partiti di provenienza di questo grottesco ircocervo nato dalle menti geniali di Piero Fassino, Walter Veltroni e compagnia cantante. Quindi non credo che il Pd possa svolgere alcun ruolo efficace in un governo di alternativa e la recente designazione di Elly Schlein non mi pare sia un segnale che vada in senso opposto. Anzi sembra accrescere la vocazione del partito in senso puramente schierato sui diritti civili dimenticando i due valori fondanti della sinistra ossia l’uguaglianza sostanziale, da un lato, il rifiuto della guerra, dall’altra. Le dichiarazioni della neosegretaria sulla prosecuzione del “sostegno” militare a Zelensky sono sconcertanti. Impossibile scorgere una differenza tra queste posizioni e quelle dell’altra signora della politica italiana, finita improvvidamente alla guida del governo. Per un rinnovamento della sinistra, per la salvezza del Paese, ritengo indispensabile la scomparsa del Pd, che è un ostacolo, data la sua qualifica come forza di sinistra o quantomeno di “centrosinistra”. 

In questo frangente una parte delle forze di maggioranza hanno a più riprese sostenuto di non avere contiguità storiche con la tradizione di estrema destra. È davvero così, oppure si è sdoganata una parte della storia ai più scomoda?

Il nostro Paese non ha fatto i conti con il fascismo, che non è mai morto, in verità, e dunque non possiamo parlare a rigore, come si fa di tanto in tanto, di un suo “ritorno”. Si tratta di un fiume carsico che di tanto in tanto riaffiora delle profondità, e ce ne stupiamo. Cambia le sue forme, perché il fascismo è camaleontico, e viaggia sul percorso passato/presente, andata e ritorno. E dopo che Bettino Craxi compì il passo decisivo di “sdoganare” i post-fascisti, dopo che Berlusconi dichiarò di preferire per il ruolo di sindaco di Roma, il candidato di destra e quello del centrosinistra, dopo che Luciano Violante, nel discorso di insediamento alla presidenza della Camera, rese omaggio ai “ragazzi di Salò”, mentre il revisionismo storico passava dalla storiografia al giornalismo, diventando senso comune, grazie alla televisione, soprattutto, il retaggio del passato diventava presente nella generale  indifferenza, e pochi hanno espresso scandalo nel votare e nel far votare Giorgia Meloni, erede non pentita di quella tradizione o, peggio, Ignazio La Russa al vertice del Senato, ossia vice-capo dello Stato, un vero schiaffo alla Costituzione, alla Resistenza, e alla democrazia. E del resto, quando le differenze tra la destra e la cosiddetta sinistra, quella rappresentate in Parlamento, si riducono negli ambiti decisivi, è normale che la prima diventi parte del panorama politico “accettabile”.

In passato abbiamo creduto all’integrazione politica dell’Europa. Oggi quelle convinzioni sono state mortificate da un assetto politico che ci ha consegnato un Unione Europea ibrida in cui gli insegnamenti di Altiero Spinelli ed il manifesto di Ventotene sono finiti sotto le macerie. C’è un futuro politico comune per l’Europa o si tornerà a ragionare ciascuno pro domo sua?

L’Unione Europea non ha nulla, ma proprio nulla a che fare con il progetto, o forse il sogno, di Spinelli, Colorni, Rossi e gli altri antifascisti che stesero il famoso Manifesto di Ventotene. Un’idea nobile e condivisibile è stata trasformata in una entità che sta sopra le teste delle persone, che prescinde dai loro bisogni, che non tiene in conto alcuno sogni e progetti. Tutta, ma proprio tutta l’impalcatura della Ue è un sistema di burocrazie antidemocratiche, dominate da gruppi di interesse, che a loro volta sono sovranazionali, più che europei. E nel corso degli anni anche quel po’ di autonomia dell’Unione, rispetto agli Usa, e più in generale nel sistema delle relazioni internazionali,  è venuta via via scemando, e oggi appare la Ue appare irriformabile. Andrebbe distrutta e rifondata a fundamentis, anche per rispetto alle nobili figure di quei sognatori idealisti. 

Da più di un anno la guerra in Ucraina accompagna la nostra quotidianità. Tutto questo poteva essere evitato? Cosa non è stato fatto per impedire l’escalation militare?

Questa guerra è stata preparata e voluta dagli Usa, dalla Nato con la connivenza dell’Unione Europea, che avrebbe potuto svolgere un ruolo prezioso di intermediazione. Anzi, questo conflitto è stata la prova di quello che dicevo prima, della inutilità della Unione Europea, e del tradimento degli ideali di pace sulla quale era nata. Un fatto gravissimo. E oggi l’intera Unione è impegnata a portare avanti con solerzia il tradimento, con l’Italia in prima fila, quel Paese la cui Costituzione “ripudia la guerra”. Questo è a dir poco infame. Oggi con questo conflitto la Ue è diventata nulla di più che un’appendice della Nato, che peraltro, ricordiamo, non si identifica nel Patto Atlantico, ma è solo la sua organizzazione militare, ma è significativo che ormai nessuno citi più il Patto ma solo la Nato.

Quale sarà a suo avviso la prossima mossa di Putin?

Putin è stato spinto, e direi costretto a compiere il passo del 24 febbraio, atto terzo di un confitto iniziato in realtà fin dalla nascita della Ucraina come Stato indipendente, nel 1991, uno Stato nato già con una destinazione bellicistica, come serbatoio di armi e luogo di sperimentazione di sistemi di offesa. Poi con la seconda fase, il violento regime change del 2014, ebbe inizio il sistematico bombardamento del Donbass, russofono, che è stato il principale casus belli per la Russia, e gli accordi di Minsk di quell’anno, reiterati e perfezionati nel 2015, oggi per ammissione della stessa leadership internazionale e della Nato erano solo una trappola in cui Putin cadde. E anche questa fase della guerra è una trappola la classica trappola di Tucidide in cui il leader della Federazione Russa si è fatto incastrare. Certo ha compiuto errori, ma il suo obiettivo, al di là dell’aiuto inevitabile ai russofoni del Donbass, aveva una valenza generale, ossia lottare per un mondo fondato sul multipolarismo, contro l’assetto unipolare a dominio statunitense, e andava aiutato, invece che sospinto alla guerra, e oggi si dovrebbe tentare di farlo uscire dalla guerra, invece di aiutare Zelensky presentato come un eroe della democrazia e della libertà, il quale è oggi il principale ostacolo alla pace. Siamo arrivati a un punto oggi nel quale Putin, come ha dichiarato, combatte davvero per la sopravvivenza del suo Paese, e questo rende la situazione drammaticamente pericolosa. La Russia non può perdere, se non a prezzo della distruzione della Terra. 

Se questa guerra non viene al più presto fermata, oltre a una difficile ricostruzione e conciliazione in che misura destabilizzerà le economie sia della Russia ma anche dell’Europa? Avere una Russia e un‘Europa deboli, favorirà USA e Cina?

L’Occidente, sospinto da gruppi finanziari, e da network mediatici, e soprattutto dal complesso militar-industriale, si è gettato a capofitto nella guerra, senza calcolare gli effetti a medio e lungo termine. La politica delle sanzioni sta palesemente danneggiando le popolazioni europee, favorendo élites, interessate alla durata indefinita della guerra, che vuol dire crescita indefinita di profitti. La Russia nel corso degli ultimi decenni aveva stabilito una importante relazione economica, finanziaria, culturale, politica e persino militare con il resto d’Europa. E questo era visto in modo assai negativo dagli Usa: il che ci deve indurre a interpretare il conflitto in Ucraina come una guerra Usa-Nato alla Russia ma anche come una guerra Usa all’Unione Europea. Certo dietro la Russia, l’obiettivo degli Usa è costituito dalla Cina; ma se la Russia non può perdere, in ragione della forza militare, che comprende il più esteso arsenale nucleare oggi sul piano mondiale, ma anche sul piano dell’estensione territoriale, della numerosità della sua popolazione, della sua evidente tenuta economica, a maggior ragione è prevedibile che la Cina rappresenti un target troppo duro, troppo forte, troppo pesante anche per l’invincibile armata Usa-Nato-Ue. E naturalmente, le vittime saremo noi, saranno tutti. E a dispetto dell’apparenza, oggi le élites intellettuali statunitensi sanno bene che il loro “Grande Paese” è in forte crisi di egemonia ma anche economica, e le ultime notizie di crolli bancari lo confermano.  E non sempre la soluzione militare è la risposta giusta.

Chi vivrà, vedrà. Se vivrà.

Angelo d’Orsi, allievo di Norberto Bobbio, è professore ordinario di Storia del pensiero politico nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino. Professore invitato” in varie sedi universitarie parigine: Paris I Sorbona, Ecole Pratique des Hautes Etudes, Ecole Normale Supérieure, Paris XII-Val de Marne; ha tenuto lezioni e seminari anche in altre sedi come l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (Maison des Sciences de l’Homme), l’Institut d’Etudes Politiques (Science-Po), l’Institut d’Histoire du Temps Présent. Ha tenuto seminari e partecipato a convegni in America. È fra gli ideatori e organizzatori del FestivalStoria, è presidente del comitato scientifico della Fondazione Luigi Salvatorelli; collabora con l’Istituto Gramsci nazionale e l’Istituto Gramsci Piemontese, con l’International Gramsci Society; è membro della Commissione per l’Edizione Nazionale degli Scritti di Antonio Gramsci e di quella delle Opere di Antonio Labriola; è direttore della rivista di storia critica «Historia Magistra»; ha creato la BGR, la Bibliografia Gramsciana Ragionata, opera in più volumi (I vol. Viella, 2008), e fondato la rivista internazionale di studi su Antonio Gramsci «Gramsciana» (Mucchi). Collabora, oltre che a riviste scientifiche, al quotidiano «LaStampa» e ad altre testate giornalistiche. Tiene anche un blog su MicroMega, dove scrive soprattutto di politica, con cadenza pressoché mensile.

Ultimi articoli

Contattaci

Scrivici attraverso il formulario o chiamaci