Una nottata di primavera, una festa di paese, cinque ragazzotti in libera uscita ed uno scontro con la forza pubblica dell’epoca. Ecco gli ingredienti di una storia certamente simile a molte altre, che però si presta alla narrazione per quanto accadde e per i risvolti di indagine giudiziari che scatenò. Il 4 aprile 1953 , di ritorno da una festa cinque ragazzotti si stavano incamminando sulla strada che collega Villar san Costanzo a Dronero e che li avrebbe riportati a casa. Erano i tre fratelli Garnero, Giovanni Battista di 29 anni, Pietro di 27 ed Antonio di 24 anni, un altro Giovanni Battista Garnero detto Titinet, di 20 anni e Antonio Feramia di 22 anni. Tutti e cinque contadini di Roccabruna. Con i cinque camminano a poca distanza due carabinieri: Vittorio Ronjeon e Antonio Vezzoli, che erano alla festa perché comandati di servizio a tutela dell’ordine pubblico. Apparentemente un ritorno tranquillo, Quando però parrebbe, improvvisamente, i cinque giovanotti si scatenino contro i carabinieri. Una parola mal detta, mal compresa ed ecco la zuffa. Gettano a terra il carabiniere Ronjeon, lo colpiscono con pugni, calci e bastonate. Lo disarmano, portandogli via la sciabola e la pistola, impedendo con minacce al carabiniere Vezzoli di soccorrere il compagno.
Dall’aggressione Ronjeon riportò diverse lesioni guaribili in poco più di una settimana. Ma gli aggressori nella colluttazione gli lacerarono l’uniforme (il danno vene calcolato in 30 lire) ma, cosa ancora più grave, gli presero le armi, la bandoliera, il fodero della sciabola….
I cinque aggressori di Roccabruna vennero successivamente arrestati. Quasi subito i fratelli Giovanni Battista e Pietro Garnero, che al momento dell’arresto ebbero ad esibire come trofeo la sciabola e il cappello presi al carabiniere Ronjeon. Così venne recuperata la sciabola è così ritrovata, mentre sparirono la pistola, la bandoliera e il fodero sono spariti.
Dopo poco meno di un anno, nel febbraio 1854, vennero processati dalla Corte di Appello di Torino. Tutti i testimoni concordarono che i cinque giovanotti e i carabinieri procedevano in comitiva, senza che vi fosse stata una precedente animosità. Il violento contrasto era di fatto scoppiato all’improvviso.
Dagli atti processuali si registra che gli accusati, o i loro avvocati difensori, non esitarono ad accusare il carabiniere Ronjeon. Secondo loro, il militare, che alla festa aveva bevuto troppo, avrebbe mostrato una provocatoria “concitazione” nei confronti dei giovanotti.
Questa affermazione venne però smentita da tutti i testimoni, i quali concordarono sul fatto che alla festa Ronjeon ed il suo compagno avevano accettato da bere, ma si erano contenuti, “dando prova di tale moderazione da non mostrare nessun segno di “dannoso effetto”. I due militari, anzi, erano attenti a che i fratelli Garnero e i loro compagni non sorbissero maggior quantità di vino di quella già bevuta: presentavano infatti manifesti segni di ubriachezza, in particolare Antonio Feramia.
Chiamato a testimoniare il secondo carabiniere, Antonio Vezzoli e confermato da Ronjeon che il vino aveva prodotto una forte alterazione nell’umore già piuttosto carico dei fratelli Garnero e dell’altro Garnero. E questo li avrebbe portati ad urtare sulla strada del ritorno, il Ronjeon per poi insultarlo, buttarlo a terra e derubarlo delle armi.
Il tribunale così valutando tutti i passaggi del caso così ebbe ad esprimersi:
“…Sulla base delle dichiarazioni del carabiniere Vezzoli considera come principale il ruolo dei fratelli Giovanni Battista e Pietro Garnero che portavano ancora sciabola e cappello al momento dell’arresto e, al momento dell’aggressione, ed erano i due più vicini a Ronjeon,”
Venne confermato il fatto che Ronjeon tentò di difendersi dall’aggressione, visto che i fratelli Giovanni Battista e Pietro Garnero riportarono anch’essi delle lesioni rilevate dalle successive perizie mediche.
Gli altri due accusati, il terzo fratello Antonio Garnero e Giovanni Battista Garnero detto Titinet, per difendersi sostennero di essersi allontanati dalla comitiva prima del fattaccio. In sede dibattimentale il loro ruolo apparve meno importante ed il tribunale decise di considerarli soltanto come complici.
Quanto ad Antonio Feramia, dalle dichiarazioni dei testimoni presenti alla festa e del carabiniere Vezzoli si ricavava che il giovanotto, per il troppo vino bevuto non riusciva neppure a stare in piedi. E per questo non avrebbe potuto essere attivo supporto degli altri durante l’aggressione, e neppure consapevole di quanto stesse accadendo. Così avrebbe dovuto essere assolto.
“Trattandosi di carabinieri di ritorno da una pubblica festa, dove erano comandati di servizio il fatto può essere considerato come previsto dal codice penale militare, benché limitato a semplici violenze e vie di fatto, che non risultano accompagnate da uso di armi. Mancano così argomenti di animo rivoltoso contro la forza pubblica”. Così le violenze vennero ricondotte all’ ubriachezza, e questo rappresentò una attenuante un po’ per tutti.
Riassumendo allora:
“con sentenza del 10 febbraio 1854, Antonio Feramia venne assolto. Giovanni Battista e Pietro Garnero condannati a tre anni di reclusione, Giovanni Battista Garnero detto Titinet ad un anno di carcere. Antonio Garnero, giudicato punito a sufficienza con il carcere che aveva già scontato, venne rilasciato, come anche Antonio Feramia. Tutti i Garnero vennero condannati ad indennizzare il Ronjeon ed al pagamento delle spese processuali. Con regio decreto del 2 marzo 1856, a Giovanni Battista e Pietro Garnero verrà concessa una diminuzione della pena di sei mesi.”
A margine della vicenda è bene ricordare che, lo stesso giorno dell’aggressione ai carabinieri, compiuta da giovani ubriachi, a Torino venne pubblicato un Regio Decreto, con cui si regolamentava la riscossione delle tasse sul consumo del vino (la “foglietta”), sull’acquavite, sulla fabbricazione della birra, che portava le firme del re Vittorio Emanuele II e del Ministro delle Finanze, Camillo Cavour. Il bere faceva male già allora, ma avrebbe fatto anche cassa rimpinguando i forzieri della casa sabauda