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Gli agnolotti

3/01/2025 | Gastronomia e Cucina tradizionale

Molti sostengono che la loro origine sia da ricercare nella ricetta dei ravioli toscani e anche l’Artusi identifica una preparazione simile agli agnolotti con il nome di ravioli alla genovese, precisando però che “…non si dovrebbero chiamar ravioli, perchè i veri ravioli non si fanno di carne e non si involgono nella sfoglia…”. In realtà quelli piemontesi si chiamerebbero agnolotti. Per trovare l’origine degli agnolotti, dobbiamo rifarci ad un racconto che ricorda l’assedio al castello del Marchese Teodoro I di Monferrato da parte del principe Giacomo di Acaja. Al termine del conflitto, nel 1335, il marchese volle festeggiare la liberazione offrendo un banchetto,  ma non si non si trovava più un vitello intero in tutta la zona. Così il cuoco cercò di arrangiarsi riciclando alcuni pezzi di carne d’avanzo e utilizzandoli come ripieno di piccoli fagottini di pasta.

Pare che questo cuoco si chiamasse Angelot, ed ecco spiegata l’origine del nome agnolotti. Un elemento fondamentale della ricetta è il ripieno. Qualcuno ha azzardato che i ravioli fossero già  conosciuti dai Romani ed addirittura dagli Arabi. Le prime notizie più sicure lo collocano più tardi, alla fine del 1100: pare che in un atto notarile ligure del 1182 si trovi citato un raviolo-agnolotto per la cui consegna secondo una certa quantità viene assunto da un fittavolo agricolo di Albenga impegno verso il suo padrone. E non manca neppure un riferimento colto. C’è infatti chi vede in un passo del Decameron il riferimento al prezioso piatto dove il Boccaccio scrive: “nel Paese di Cuccagna alla cima di un monte di parmigiano stavano uomini che null’altro facevano fuor di cucinar ravioli, li rotolavano sul pendio dei formaggio grattuggiato, e al fondo la gente li raccoglieva ‘e chi più ne prende, più ne ha“. Giovanni Vaiardi, cuoco di casa Savoia nel 1854, ricordava che gli ingredienti dovessero essere “carne cotta, un pò grassa, di vitello, bue o pollo”.

Quanti tipi di carne devono essere contenute nel ripieno? Dovrebbero essere necessariamente tre (vitello, maiale e coniglio), ma questa è un’usanza conosciuta nella Langa dove gli agnolotti anzichè della tipica forma quadrata vengono realizzati con una tecnica “a pizzicotto” e assumono il nome di agnolotti del plin (in piemontese infatti il plin è il pizzico). Resta il fatto che anche per gli agnolotti si faccia riferimento alla cucina povera, quella di recupero che è la più comune dalle nostre parti. Per quanto riguarda il condimento i classici agnolotti si mangiano con il sugo d’arrosto, oppure conditi semplicemente con burro e salvia per apprezzare il ripieno, ma volendo si possono servire anche al ragù. Resta il fatto che i ravioli facciano ormai parte del corredo di ciascuna casa cuneese e piemontese. Cucinati artigianalmente secondo la ricetta della nonna, ma comunque essenziali in ciascuna cucina e per ciascuna delle ricorrenze ufficiali e non.

“A j’é squasi per tut sta bela usanssa d’fé an s’l’indoman ‘d qualch disné na mnestra ch’l’è pi bona d’na pitanssa. Presto Margrita as buta a ciapulé quaic bon bocon che a pena a s’è tocasse: e lo l’è fait ant doe minute o tre. E se un capon o un rost a s’è antemnasse o quaic cos aut ‘d pi bon, as buta d’cò fuss bin d’ stomi d’grive, o pur ‘d becasse, s’ai fuss peui d’co d’avanss d’ fricandò quaica toc d’ salam o pur ‘d luganighin buteilo pur ch’a perd mai nene del so. Ma lon ch’ peui pi d’ tutu as ii diis bin ansi l’è necessari ant costa supa pi d’ lo ch’a sio il garofo ant i bodin , a l’è un bel toch d’ col gras ch’as ciama d’ pupa, lolì ai da un cert qual umid, un lechet ch’a rend la cosa ancora pi galupa. Ciapulà tut lolì zichin zichet, rascià la ciapuloira e ‘l ciapulor as campa ‘l ciapulun ant un grilet e peui con un cuciar o un pcit toiror prima butandie d’j’euv an proporsion as mescia bin bin bin con un po ‘d fior; i peule d’co buteie un toc ‘d giambon con don-drè spessie fine e un po ‘d canela pertant che sto pastiss a resta bon“.

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