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L’ula al furn

3/01/2025 | Gastronomia e Cucina tradizionale

“L’ola (ula) al forno è uno dei piatti più noti della montagna cuneese. Un piatto che da solo soddisfa tutti i sensi. E’ festa il rito della preparazione e della cottura, è festa vederla uscire fumante dal sul putagè, che in passato era il centro della casa. Qui parliamo delle abitazioni della campagna o montagna cuneese dove gli ambienti abitabili erano non più di due. “si diceva che

“Non può mancare alla vigilia dell’Epifania perché accompagnava con il caldo tepore ed i suoi profumi il freddo inverno. Una ricetta questa della tradizione legata al vivere scandito dalla natura e dalle stagioni.

L’ula al furn, è un piatto della tradizione popolare occitana che prende il nome proprio dal metodo di cottura. Una minestra molto ricca che cuoceva in una grossa pentola di coccio e le cipolle, i pezzi più poveri del maiale, si aggiungevano burro o olio d’oliva e aromi e si salava leggermente. Il preparato veniva coperto con un coperchio anch’esso di cocci e si lasciava cuocere ore ed ore. Il segreto, per un risultato ottimale, è saper dosare bene la quantità d’acqua. Un po’ come succede con la panissa, il cucchiaio, se posto al centro della pentola di coccio deve restare in piedi. Una declinazione valligiana (Val Gesso in questo caso dell’ola al furn è il Tupin al fuar. Qui cambiano non tanto gli ingredienti ma il contenitore il cosidetto Tupin. I valdieresi durante i sabati di stagione fredda erano abituati a preparare una minestra particolarmente ricca e molto vicina per ingredienti all’ula e portarla al panettiere che l’avrebbe fatta cuocere tutta la notte nel forno. La mattina successiva le donne sarebbero tornate a prendere il minestrone che sarebbe stato il pranzo “ da festa”.

Altro adattamento era quello di Andonno dove il minestrone si chiamava marsench : ingrendi più o meno simili, tempi di cottura anche, cambiava però il tipo di pentola. Si è detto prima dell’utilizzo dell ula, si di una pentola in terracotta particolarmente indicata per la cottura di zuppe, minestroni, stufati, sughi e cereali.

Certo, queste pentole non sono adatte alla “cucina veloce” tipica dei nostra quotidianità, difficili da pulire, gli esperti consigliano il sapone e solo con acqua e   limone. Queste pignatte sono molto fragili, quindi ci vuole cura nel maneggiarle, ma i risultati ottenuti nel loro impiego sono a dir poco sbalorditivi.  Tupin, Tofeja, Fojòt, Ola: in Piemonte, le pentole di terracotta hanno anche un nome, tanto sono importanti nella tradizione gastronomica della regione, e tutte accompagnano preparazioni e piatti tipici. Conta però la tradizione ed il saperla difendere anche in campo culinario. L’ula non ha trascorsi nobili e non si è mai detto che almeno uno dei re in visita a Sant’Anna di Valdieri  non l’abbia mai assaggiata. Così a dispetto dei titoli nobiliari noi ricordiamo questo minestrone iper vitaminico per i sapori che rilascia quando sul putagè  bolle.

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